Giardino

Il giardino dei ciliegi

Considerata fin dalla prima rappresentazione un’opera tragica, negli intenti dichiarati dell’Autore avrebbe dovuto essere una commedia con elementi farseschi, e così abbiamo voluto leggerla e metterla in scena.
In realtà, c’è molto di drammatico in ciascuno dei tre piani che si intersecano (lo snodo cruciale della storia russa, la catastrofe economica di una famiglia aristocratica, i conflitti interiori di ciascun personaggio) e tuttavia sono presenti molti aspetti farseschi nella coloritura di alcuni personaggi (l’instabilità emotiva di Liuba, i voli pindarici di Gaiev, l’inconcludente retorica dell’eterno studente Trofimov, la stralunata bonomia del possidente Pischik, gli incidenti del maldestro contabile Lepicodov, la solitudine ridanciana della povera Charlotta…).

Inoltre compaiono fitti dialoghi, a dare l’illusione d’una comunicazione-comprensione reciproca che in effetti non c’è perché ognuno è preso dalla propria vicenda e la vive in modo diverso. I dialoghi apparenti, a ben vedere, diventano monologhi, quasi soliloqui e in tutti c’è un po’ di Cechov, che ha vissuto quell’epoca e quel dramma.
Anche noi ci riconosciamo in quegli uomini e in quelle donne che, prescindendo dal momento storico e dalla posizione geografica, vivono con emotività i drammi di sempre.

Non c’è trama, non accade nulla, tutto è nei personaggi. Una partitura per anime in cui i dialoghi sono monologhi interiori che si intrecciano e si attraversano. Un unico respiro, un’unica voce. Non vi è alcun tono elegiaco, è vita vera distillata: si dice, si agisce.
Un valzerino allegro in una commedia intessuta di morte. Comicità garbata, mai esibita, perfetto contrappunto in un’opera spietata e poetica. I personaggi ridono e si commuovono spesso, il che non significa che si debba piangere davvero, è piuttosto uno stato d’animo, scrive Čechov in una lettera, che deve trasformarsi subito dopo in allegria.

PASSEGGIANDO PER IL GIARDINO

PICCOLE DIVAGAZIONI

Chi pensasse a “ Il giardino dei ciliegi” di A. Cechov come ad un dramma sarebbe , a mio avviso, molto lontano dalla realtà.
Il dramma è, semmai, in chi guarda, come accadde nel 1904 quando Stanislavskij e Dancenko lo misero in scena per la prima volta al Teatro d’Arte di Mosca e lo rappresentarono appunto come un dramma: questo è ciò che avevano visto loro, ma penso che il dramma fosse dentro di loro e non nel testo.
Cosa c’è di drammatico, in fondo, nell’ostinazione e nella miopia di una classe sociale che non coglie il cambiamento della realtà storica e sociale?

Jacques Prevért scrisse: “ Ma che gente è mai questa che non ce l’ha fatta a contare fino a venti?”( citazione da “Le belle famiglie”) Cosa c’è di drammatico nella superficialità di persone sorde ai consigli
di chi li vuole mettere in guardia e aiutare ad evitare una catastrofe?
No, non vedo in questo alcun dramma se non una storia personale che si intreccia continuamente con gli eventi storici e li rifugge.

Credo che gli intenti di Cechov fossero in realtà molto diversi.
La cura e l’attenzione con cui sono stati tratteggiati i caratteri peculiari di ogni personaggio fa pensare più al desiderio di rappresentare “le persone” con la loro indole, inserite in una precisa realtà storica e sociale: per questo che credo che il giardino non sia rappresentabile fuori dalla sua epoca, quella Russia così travagliata e particolare a cavallo tra la fine dell’ ‘800 e gli inizi del ‘900.

Potrei dire che a sostegno della mia ipotesi c’è anche il pensiero nascente di Sigmund Freud, che proprio negli stessi anni comincia a sondare le profondità dell’inconscio ed a mettere in evidenza le ragioni
interiori dei comportamenti esteriori. In questo” il giardino” è davvero un capolavoro: ogni persona vive la stessa realtà storica e sociale ma ognuno in modo diverso e con il suo bagaglio emotivo ed il
suo dramma interiore.
Vediamo se, seguendo questo criterio, riusciamo a creare delle tipologie umane:

perdenti e rassegnati (Liuba, Gaief, Varia, Lopakin, Charlotta, Iepicodof)

vincenti o combattivi (Ania, Trofimof, Piscik, Duniascia, Firs, Iascia)

Come si può notare è una società in miniatura, con ruoli, cultura ed emotività diverse, e come in una società ognuno vive la propria situazione e trova la propria soluzione. Non importa il ceto sociale, non conta la ricchezza o il livello culturale: sono solo le risorse interiori a determinare il futuro. E’ un perfetto gioco d’incastro di piccoli tasselli umani. In questo gioco sì, il giardino è eterno, poiché, sempre nella storia, le persone si comporteranno secondo questo criterio.
La domanda semmai è: come sviluppare le risorse interiori? Ma questo è un altro gioco!

Quindi perché rappresentare “il giardino”? Perché mai dovrebbe essere interessante recitarlo e soprattutto proporlo ad un pubblico spesso disattento e privo di voglia di guardarsi dentro?
La prima risposta è semplice: perché noi vogliamo guardarci dentro, perché noi cerchiamo dentro quelle risorse necessarie per continuare a vivere. Se non ci crediamo noi, non ci crederanno nemmeno gli altri.

Questa è la motivazione più semplice ma anche la più difficile! La seconda è: perché non proporre del buon teatro, sfidando la meschinità delle facili battute , delle sottintese volgarità e quei luoghi comuni, legati agli stereotipi dell’allegria? In questo “il giardino” è un ottimo teatro ma, anche qui, dobbiamo crederci.
La terza è la buona recitazione, quella che attinge sia alla capacità tecnica recitativa che a quella del nostro cuore, della nostra anima, del nostro dolore, della nostra allegria, della nostra difficoltà….e così via.
Così racconteremo qualcosa di vero , faremo anche ridere perché parleremo lo stesso linguaggio di chi guarda ed ascolta: vedi, anch’io ho vissuto questo…….Quella che chiamiamo empatia.
Il pubblico ci sentirà vicini e anche questo è un valore eterno. Certo, anche in questo dobbiamo credere: recitare è facile se si recita al posto di un altro, ma non saremo mai convincenti.

Per concludere appare evidente che ci troviamo di fronte ad una sfida.
Ho sentito dire: “ che noia questi che parlano in continuazione fra loro di cose futili, sorseggiando te o passeggiando o ancora, che storia stupida, priva di senso” No, non è così, perché se così fosse tutta la
storia del genere umano non avrebbe senso!
Forse mi sono dilungato un po’, avrei dovuto dirvi subito che Cechov pensava al giardino come ad una farsa!

G.Petrolati