Laboratori (Piovono storie)

2020, su Zoom

Interrotti dalla pandemia, impediti dall’isolamento, i membri della Compagnia cercano reciproco conforto su Zoom: ma i saluti, i sorrisi, gli aneddoti domestici non bastano e si pensa a come utilizzare gli incontri per proseguire un lavoro collettivo originale e gratificante.
Si propongono una serie di incipit… e ci si ritrova non solo a leggere i racconti scaturiti dagli stimoli, ma a giocare con l’individuazione degli autori; un meccanismo di “rimescolamento” li rende anonimi.
Il laboratorio è giocoforza soltanto letterario, la sbrigliata fantasia dei partecipanti produce una quarantina di storie, la cui produzione e socializzazione allevia le serate più dure del primo lockdown..

IPOTESI DI SPETTACOLO

(da mettere in scena durante la pandemia, della serie: non si butta via niente!!!)

Dopo aver prodotto una quarantina di storie, è tornata la voglia, mai sopita, di calcare la scena.
Olimpia, la moglie dell’Onorevole, Lopachin con Liuba, le otto terribili donne chiedevano con urgenza di tornare in vita, di essere rappresentati.
Ma come fare con i limiti del distanziamento prescritti dal Covid?.
Si progetta allora uno spettacolo che proponga il Meglio della Crisalide: dei monologhi o quasi, che consentano agli attori di essere soli in scena, senza movimenti e affollamenti; ci sarebbero stati alcuni attori delle tre opere già rappresentate, più un piccolo ‘assaggio’ del Povero Piero, ma anche l’ultima
produzione letteraria delle storie appena inventate, lette in scena dagli altri attori.
Il tutto, a comporre uno spettacolo vario e piacevole, rappresentativo della Crisalide e delle sue eccellenze…
Si pensò ad un titolo e a una locandina.
Le difficoltà logistiche hanno avuto poi la meglio, ma ecco la minisceneggiatura e la colorata locandina.


PIOVONO STORIE

Lui – C’era una volta, in una sonnacchiosa provincia veneta, un eterogeneo manipolo di persone, accomunate dall’amore per il teatro e dal desiderio di calcare le scene ; si incontrarono, chi con un bagaglio di preziose esperienze, chi del tutto vergine di recitazione ma pieno di trascinante entusiasmo e… fondarono una nuova compagnia: “La Crisalide” !!! –

Lei – Be’, non direi proprio “c’era una volta”, accadde solo sei anni fa! e l’idea non fu proprio originale, visto che in quella che tu chiami “sonnacchiosa provincia” esistono più di 60 compagnie teatrali amatoriali!

Lui – Taci, piccola! e lasciami dire, perché la storia è breve, ma le cose da raccontare sono tante. Il primo lavoro che ha impegnato la Compagnia “Una cicogna per tutte le stagioni” ha toni leggeri, ma è tutt’altro che superficiale: incasa dell’onorevole Carlo scoppiano contemporaneamente una incredibile serie di maternità, mettendo a soqquadro una famiglia di benpensanti.

Lei – In realtà, la commedia sembra un po’ datata, infatti si fa un gran clamore perché la protagonista, quarantenne, è incinta; oggi, è a quest’età che si comincia a pensare di avere figli. Quello che la rende attuale, è l’abbondante dose di ipocrisia e perbenismo, che non sono certo caratteristiche solo degli
anni 60… Ecco Olimpia, moglie dell’onorevole, comunicare al marito la sua gravidanza, subito che il figlio lo ha informato di aver messo incinta la sua segretaria:

— DIALOGO TRA OLIMPIA E CARLO

Lui – Ma non basta! I giochi della cicogna dispettosa non sono finiti. Ecco
Olimpia con la cameriera:


—DIALOGO TRA OLIMPIA E LA CAMERIERA

Lui – Dopo il clamoroso successo ottenuto ….
Lei – …e le ahimè scarse repliche….
Lui – ecco il secondo e più impegnativo spettacolo messo in scena dalla “Crisalide”: “Omicidio in rosa. Otto innocenti assassine” E’ un elegante giallo, dalla suggestiva ambientazione natalizia. In una villa di campagna, isolata dal mondo a causa di una forte nevicata, viene trovato morto Osvaldo, il capofamiglia.
Lei – Comincia così un giorno di ordinaria follia, durante il quale, tra accuse e menzogne, otto donne, tutte possibili assassine, svelano il lato oscuro del loro rapporto con il defunto. Anna, la moglie e Vittoria, la sorella, nemiche da sempre, si incontrano così:

—DIALOGO TRA ANNA E VITTORIA

Lei – Le ore sono scandite da continui colpi di scena, le otto protagonisterivaleggiano in perfidia. Clementina, la squinternata sorella di Anna, è alle
prese con una lezione di seduzione da parte di Angela, la piccante cameriera,
a seguire le incredibili rivelazioni di Norma, sua madre:

—DIALOGO TRA CLEMENTINA E ANGELA – DIALOGO TRA CLEMENTINA E OLGA

Lei – Il percorso dei nostri teatranti prosegue all’insegna della più imbarazzante improntitudine! Si cimentano (udite! udite!) in una pietra miliare del teatro di tutti i tempi, il capolavoro di Cechov, brillantemente e definitivamente passato alla storia grazie ai più grandi registi e attori del
secolo scorso! “Il giardino dei ciliegi”! ( avete presente Streheler ? Valentina Cortese?!?) E non basta! Scelgono le occasioni più importanti, le repliche con la presenza del critico teatrale… per… sfiorare la catastrofe!
Lui – SSS …Questo si può anche non dire…
Anja, figlia di Liuba, proprietaria terriera in rovina, dialoga con Trofimov, l’eterno studente; egli critica la vita parassitaria di nobili e possidenti del suo tempo e le fa intravvedere un mondo migliore basato sulla giustizia tra gli uomini:

—DIALOGO TRA ANJA E TROFIMOV

Lei – Alla fine del terzo atto, si giunge al punto culminante, il più drammatico: il
giardino dei ciliegi, proprietà di Liuba e simbolo del bel tempo passato, è stato
venduto all’asta e lo ha acquistato proprio Lopachin, mercante “emergente”,
di umili origini.

—MONOLOGO DI LOPACHIN ( PRESENTE LIUBA) INTERVALLO

Lei – I successi si sono alternati ai fallimenti, non spegnendo l’entusiasmo della compagnia; con la caparbietà che la contraddistingue e sempre alla ricerca di testi di qualità, ecco la Crisalide infilarsi in un nuovo tunnel: Il povero Piero di Achille Campanile!
Lui – Vuoi piantarla? Guarda che Il povero Piero è, sì, un testo difficile, ma divertente e raffinato, pur proponendo una riflessione su qualcosa da cui gli uomini rifuggono: la morte!!!
Lei – Peccato che il coronavirus abbia rotto le uova nel paniere!
Lui – Eh, sì… questo Povero Piero, che da un anno tentava di venire alla luce, rischiava a questo punto di essere…definitivamente sepolto.

Ammutoliti e annichiliti nelle nostre case, ci siamo per un po’ dimenticati del teatro e della Compagnia, per cadere poi, come molti, nella seducente, inaffidabile, tecnologica rete di Zoom…
Lei – infatti, senti….
Nel buio si sentono delle voci, i confusi tentativi dei membri della Compagnia di connettersi…Lui – Devo ammettere che l’inizio è stato difficile!!!
Ma infine le difficoltà tecnologiche sono state appianate (alcuni, dei veri imbranati con il computer). In breve ci siamo stancati di chiederci ‘come stai?’ ‘cosa fai?’ ‘ qual è la miglior ricetta del pane fatto in casa?’; tutti quei discorsi inutili esaurivano i pochi minuti rimasti dopo i vari tentativi di collegarsi.
Quindi, abbiamo deciso di cimentarci con la scrittura!!!

Lei – Ah! I novelli Pirandello!!!
Lui – E così, proposto un elenco d’incipit, ognuno poteva sceglierne uno e scrivere un racconto; poi, sempre più difficile, l’incipit divenne unico. Ma il divertimento consisteva nell’assegnare a caso (attraverso un marchingegno) la lettura dei racconti e nell’indovinarne l’autore.
Lei – Uff.. quanto la fai lunga! Sentiamo qualche racconto…

MARCELLO LEGGE GLI INCIPIT

Racconti:

  1. La voce del silenzio
  2. Una novella al giorno toglie il medico di torno
  3. Troppo tardi ovvero vecchi amori al supermercato
  4. La mattina di lunedì
  5. Alfabeto ( tutti, tra il pubblico)
  6. Il fortino
  7. No, non è come pare
  8. Una verità sconosciuta

Lui – Bene, nell’attesa di riprendere e terminare (!?) il Povero Piero, ci piacerebbe ora proporvi un assaggio, anzi, due, di questa divertente commedia.
Il povero Piero è morto: nel trambusto di un funerale che non si può ufficialmente celebrare, un operaio si trova, suo malgrado, coinvolto nei fatti….

— Dialogo dell’operaio (Loris)

Lei – Inusitatamente Piero resuscita ( i presenti in sala sono pregati di non fare ‘spoiler’), ma la sorte non gli risparmia un un ultimo sberleffo: la sorella ha una strana richiesta…— Dialogo tra Piero, la sorella e Pantaleo

Il povero Piero (Urbano) avanza nella scena e si rivolge al pubblico:

Urbano – Il nostro spettacolo è finito, per questa sera. Speriamo di vedervi
numerosi al debutto del Povero Piero.

1. LA VOCE DEL SILENZIO

Il corona virus scardina tutti i nostri alibi: il tempo c’è, lo deve ammettere. E dunque si mette a fare , in casa, quello che aveva sempre rimandato. I primi giorni erano stati entusiasmanti, finalmente tutto il giorno a casa, senza orari, si alzava quando voleva, faceva quello che voleva; persino le pulizie non erano più un obbligo, tanto c’era tempo….

Così, tra la lettura di un buon libro, la visione di un buon film, una telefonata tra amici, tra scambi di video e di messaggi al tempo del corona virus, passavano le giornate. Un giorno però si accorse che non c’era ordine; le giornate passavano senza una logica, non che questo fosse importante, ma quello che era iniziato come un periodo transitorio si stava rivelando sempre più un isolamento.

Cominciò a sentire il desiderio di ridare un ordine alle cose, al trascorrere del tempo e gli mancavano le persone che era abituato a vedere, a frequentare, gli mancavano quelle attività che rendevano divertente la giornata, quelle cose che pur richiedendogli impegno lo facevano sentire vivo ed appagato.
Così fu costretto a fare quello che aveva sempre rimandato. Oh si, di cose rimandate ce n’erano tantissime, erano tutte in fila su quella scaffalatura del salotto, dello studio, della camera, dentro quel mobile, ma da dove cominciare? Così decise che avrebbe cominciato da quello che ogni giorno di più si faceva sentire con maggiore insistenza: il silenzio che sentiva dentro di sé.

Bisogna fare silenzio per ascoltare. Ricordava vagamente una canzone, di molti anni prima e riemerse alla memoria una frase:” Ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto”. Che cosa aveva perduto? Che cosa non era stato capace di trattenere? Ma il silenzio non rispondeva, era come se quell’affannata ricerca del perduto non gli desse tregua per capire che cosa stesse succedendo.
In un primo momento si rassegnò e si lascio trasportare da tutte quelle emozioni che erano solo dentro, ascoltò la sua solitudine, non aveva ancora imparato a vivere da solo ed ora la vita glielo proponeva impietosamente; poi capì che nella solitudine si impara a condursi e ad apprezzare chi ti regala la sua compagnia, il suo ascolto, chi ti offre una serata davanti ad uno spritz e patatine, infarcite di quattro innocenti pettegolezzi; ad apprezzare chi, davanti ad un caffè, ti racconta che è stata davvero una brutta giornata e tu, ascoltando, sai che passerà, ma non lo puoi dire perché ognuno di noi deve imparare a vivere la propria solitudine.

Viviamo ancorati ad un passato che ci dà una parvenza ingannevole di sicurezza e pensiamo con trepidazione alle promesse del futuro: ed il presente? Ecco che cosa aveva perduto, le piccole cose che ogni giorno gli offriva che gli permettevano di alzarsi al mattino ed arrivare alla sera contento di aver vissuto ogni momento della giornata.

Così poco a poco, quello che era cominciato in modo casuale e del tutto disordinato divenne un gioco quotidiano cui dedicare una manciata del suo tempo, tanto che anche quelle giornate di isolamento dal mondo tornarono ad avere un ordine ed i giorni ripresero ad avere un senso: ora poteva ricominciare a fare le pulizie! …indietro.

2. UNA NOVELLA AL GIORNO TOGLIE IL MEDICO DI TORNO

Non immaginerete mai che cosa mi è capitato l’altra sera! Mi trovavo in una chat tra amici, ora ci si incontra solo così e, stanchi di parlare delle difficoltà che si incontrano usando “Zoom”, il programma per incontri in videoconferenza, del tempo, di quanto male si vive in isolamento…..e di tutte le altre cose banali che si dicono quando si è in gruppo e non si sa cosa dire, qualcuno lanciò un’idea: perché non scriviamo delle novelle e poi ce le leggiamo? Ma si, come quello, si quello…. come si chiamava…Magnaccio, Legaccio….Petruccio, ah no…Boccaccio, si, quello che scrisse delle storie su le camerone, si, delle camere, ma un po’ più grandi e che per nobilitarle ci mise davanti il de: e così venne fuori il “Decamerone”.

I più colti dicono che derivi dal greco, dieci giorni, mah….dal contenuto le camere ci stanno. Fece un po’ di scandalo è vero, sapete, in confidenza, dentro c’è un po’ di sesso e carnazza!Però non è mica male!Così ci hanno dato degli incipit, no, non è un rimedio per il raffreddore è….come dire qualcosa che comincia, insomma se non te si bon de scrivere mi te digo come che te ghe da fare, chiaro?
Ho letto la prima, parlava di capelli, l’unica cosa che mi è venuta in mente è stata che i capelli furono la causa innocente dell’innamoramento di mia moglie, ho pensato che era meglio di no.
Nella seconda c’era un ascensore, per carità, di questi tempi schiacciare il bottone del piano potrebbe essere pericoloso…..infatti il tipo sentiva l’ansia salire.

Quella dopo partiva di lunedì, da sempre la giornata più brutta che Dio mandò in terra.
E quella dopo, che sfiga…raccontava di uno seduto su di una panchina che invece di leggere il giornale riflette sulla sua vita immobile, grazie no, ho pensato: mi basta la mia!
E l’altra che spegne la svegliache per fortuna non cade in terra, ho pensato, ma se lo sai perché non la metti meglio sul comodino! No, perché quello era il presagio che sarebbe stata una giornata speciale! Beh sapete cosa vi dico? Tutte le volte che l’ho detto è sempre stata una giornata di merda!
Beh, non parliamo di quella dopo: doppia sfiga, abbandonarsi a quella difficoltà sembrò l’unica via che rimaneva da percorrere. Sti cazzi!!!

Così, con la successiva si passava dalla sfiga alla tragedia: la sua vita si era incagliata da quando era rimasto solo, porello! Quella dopo era farneticante: era il 15 di luglio, era da un po’ già iniziato l’esodo estivo verso località di villeggiatura. Si, te la scordi quest’anno la villeggiatura se ti va bene stai a casa e….se va male….. vai in rianimazione.

La successiva parlava di una persona insicura che per vivere tranquilla aveva la giornata implacabilmente organizzata, al minuto, al secondo, al punto che tutta la sua vita era implacabilmente organizzata. Mi ha fatto venire in mente quella barzelletta del signore che va dal dottore: “Dottore, mi sento nessuno” ed il dottore implacabile come la sua vita rispose: ”Avanti un altro”

Cosi alla fine decisi che sarei rimasto su “Rose gialle su fondo bianco. Osservai ancora una volta quel biglietto di auguri che avevo appena ricevuto”. Ho pensato: mi sembra così ingenuo epastelloso, così poco pericoloso…….che…….che finalmente felice iniziai a scrivere la mia novella. …indietro.

3. TROPPO TARDI (ovvero VECCHI AMORI AL SUPERMERCATO)

Se lo trovò accanto nella coda del supermercato; ma era proprio lui? Non lo vedeva da non so quanto tempo. Poteva scegliere di far finta di nulla o sorridergli e fargli un cenno per farsi, a sua volta, riconoscere… Il suo compagno di liceo, ammettiamolo pure, il suo primo amore, naturalmente non corrisposto: Silvio era il più bello della classe, alto, capelli lunghi e ricciuti, curvo e arrogante come sono quasi sempre i timidi. Al ginnasio avevano studiato insieme, a casa di Maria Rosa, entrambi seri e diligenti, eseguivano i compiti e poi rimanevano per ore a chiacchierare.

Al liceo gli atteggiamenti si erano differenziati, lei sempre più studiosa e impegnata, lui, cambiata la voce e con una specie di barba, scansafatiche e insubordinato fino alla provocazione. E così la loro amicizia si era dissolta; sembrava che Silvio non la vedesse nemmeno, cercava la compagnia delle ragazze più disinvolte e disinibite. Lei, invece, pur cominciando a frequentare ragazzi più grandi, faceva ruotare le sue giornate scolastiche intorno agli occhi chiari di lui: felice se la guardava, inquieta se era in ritardo, gelosa delle sue nuove amicizie.

Emozioni fatte di nulla, ma incredibilmente vive. E tutto era finito senza neppure cominciare… Ora, mentre stava arrivando il suo turno, ricordò come un lampo il maglione bianco e blu che Silvio aveva indossato per anni, così sformato, alla fine, da dargli un’aria decisamente goffa. Nella fila parallela, ormai vicino alla cassa, ecco Silvio, ne era quasi sicura: un signore anziano, con i capelli candidi, il volto arrossato, il fisico pesante.

Nell’arco dei cinquant’anni che li dividevano dai tempi del liceo lo aveva visto qualche volta per strada, aveva avuto qualche notizia della sua carriera di ingegnere, ma non gli aveva mai parlato. Dopo aver pagato, Maria Rosa mise la sua spesa nel carrello. Silvio, più veloce, stava uscendo; nel farlo, la sfiorò inavvertitamente, si girò per scusarsi, senza riconoscerla.

Alla porta d’uscita, le cedette cavallerescamente il passo. Si diressero entrambi verso le loro auto nel parcheggio del supermercato: un signore grassoccio, da una parte, una donna anziana, un po’ zoppicante, con gli occhiali da sole, dall’altra. Forse non era lui – si disse Maria Rosa con una piccola smorfia – e, comunque, che cosa abbiamo da dirci? – Entrata in auto, nel parcheggio assolato e quasi deserto, fu folgorata dalla solita autoironia, che la salvava sempre nei peggiori frangenti. E compose: “Maria Rosa, anziana e grassa fa la coda per pagare ma vicino all’altra cassa Lui la fa trasecolare.” “Non sarà Silvio, per caso (il suo amore di una volta) quel vecchietto a capo raso che al liceo l’avea sconvolta?” “Gli occhi sono proprio quelli di colore azzurro ghiaccio ma non sembrano i capelli.. Sono incerta, cosa faccio?” “Sulla porta dell’uscita lui per sbaglio un po’ la sfiora, dà un ‘occhiata di sfuggita ma purtroppo poi la ignora.” “Maria Rosa, con le borse, si rattrista e lascia stare. Sarà stato Silvio, forse… ma non serve riannodare.” …indietro.

4. LA MATTINA DEL LUNEDÌ

La mattina di lunedì mi svegliai alle 6.30, mi lavai in fretta e senza far colazione uscii di casa Era una di quelle mattine chiare, limpide, foriere di giornate calde, che portano allegria. Una di quelle tremende calde giornate estive, in cui ringrazi di essere chiusa in ufficio con l’aria condizionata, una giornata in cui la temperatura dell’ora mediana non ti invita neppure ai due passi post prandiali, evita addormentamento. No. Niente di tutto questo, erano solo le 6.30 del mattino. Uscii piano per non disturbare nessuno, la mia famiglia, i vicini, le tortore ancora appollaiate sul Carpino, i merli in cerca degli ultimi lombrichi usciti con la rugiada mattutina. L’aria era frizzante, misi un giacchino, più per abitudine che per vero e proprio freddo e respirai. Due respiri profondi, ad occhi chiusi.

L’azienda aveva iniziato un percorso di welfare, pochi mesi prima di questo periodo malefico e ci aveva messo a disposizione un mental coach, il quale, in uno degli incontri on line, ci aveva insegnato la tecnica di rilassamento e respirazione da lui sviluppata x il recupero delle energie, per i suoi clienti, soprattutto sportivi, ma alcuni dei quali davvero importanti e necessitari davvero di relax e recupero totale di concentrazione ed energia, le Frecce Tricolori. In verità nulla di nuovo rispetto la fase finale di tante sessioni di yoga o pilates, ma funzionale. Il principio del quale è respira e senti il tuo corpo. Pratica che mi è sempre piaciuta con la quale mi sono sentita sempre a mio agio.

Respirai profondamente, lasciando che il mio corpo si concentrasse e per assaporare il silenzio assoluto, una sorta di estasi consapevole e così riuscì presto ad estraniarmi. Prima fu il leggero tocco dell’aria sulle guance, sembrava il tocco di una piuma, poi il sentore lieve del tea, delle rose Etrusche che avevo curato con tanto amore dalla ruggine, mi ringraziavano così, mi lasciavano aspirare la loro fragranza per far sì che ne fossero colmi il mio naso, la mia mente e infine il mio cuore.

Finché sentivom tutto questo mi giunse, prima indistinto poi molto chiaro, il profumo intenso e molto dolce dei miei amati garofani, due cuscini ubertosi di foglie color acquamarina e fiori granata. E poi si rivelarono i sentori dei mughetti e dell’erba umida e gli occhi iniziarono a percepire la differenza di luce, che, con il passare dei minuti, aumentava di chiarore e brillantezza. Io mi percepii ancorata a terra, immersa nella beatitudine della terra stessa e di tutto quel che di suo era, un mondo che, noncurante del virus e del male, delle stagioni e degli anni, viveva il suo costante loop vitale; un incredibile giro biodinamico di vita, sonno, morte e risveglio.

Allora capii, compresi, al di là della paura, del rinchiudersi, del nascondersi, che a monte di tutto ero io, e la mia forza, i miei piedi ben piantati in terra. Mi ero rilassata assorbendo dell’ossigeno di cui avevo bisogno, un respiro di vita, ma restava un ultimo profumo, intenso, scuro come la pece a chiamarmi al qui e ora. Era pronto il caffè. …indietro.

5. ALFABETO DOMESTICO  (al tempo del coronavirus)

Il Coronavirus scardina tutti i nostri alibi: il tempo c’è, lo si deve ammettere. E dunque si mise a fare, in casa, quello che aveva sempre rimandato….  

  • ASPIRAPOLVERE – Ed eccomi col misterioso oggetto tra le mani: cercherò i pulsanti e imparerò a conoscerlo ( la signora che da trent’anni fa i lavori domestici a casa mia è in quarantena…)
  • BAR – Sogno un caffè al bar, con contorno di amici seduti al tavolo.
  • CAPELLI – Crescita, ovvero ricrescita. Il color topo avanza a vista d’occhio; rimango ostinatamente al sole per favorire il biondo allegro che preferisco.
  • DISTANZIAMENTO – La prima fase è la più dura; non esco quasi più, per non vedermi nelle strade deserte. Mi sembra d’essere in un film dell’orrore, quelli che dipingono scenari da fine del mondo.
  • EMERGENZA – Per chi non è coinvolto direttamente, troppo ripetuta rischia di diventare una parola vuota.
  • FERRO DA STIRO – Grazie al cielo, il modello è simile a quello che usavo tanti anni fa. Come per la bicicletta: s’impara una volta e s’impara per sempre. Riprendo cantando a stirare  le camicie.
  • GINNASTICA – Sedute assidue le prima settimane, corsa intorno al giardino e cyclette. Orgogliosa della mia costanza e della forma fisica. Ma poi l’impegno si affievolisce, siamo quasi al crollo. La palestra serve a darti una disciplina e in gruppo è tutto più piacevole.
  • HOTEL – A pensare alle vacanze, mi vergogno un po’.Si muore a centinaia, la gente perde il lavoro e tu ti preoccupi dell’albergo in Sardegna?
  • INGLESE – E se fosse la volta buona che imparo un po’ di inglese? Il tempo ci sarebbe e i corsi online anche.
  • LIBRI – Leggo in modo compulsivo. Scopro i libri gialli: incredibilmente mi diverto a sguazzare tra atroci violenze e perfidi assassini seriali ( non sarò mica sadica?)
  • MASCHERINE – Che tormentone! Ho i riflessi lenti e quando mi rendo conto che sono necessarie, ecco che sono scomparse dalle farmacie. Poi diventano normali compagne di ogni uscita; tolgono il piacere di vedere un sorriso, smorzano il piacere di vestirsi bene…
  • NOIA/OZIO – Scrivo, leggo, telefono, cucino, guardo la tv…ho cura di riempire ogni attimo della giornata; non devono restare interstizi dove si annidino i pensieri tristi. Horror vacui!
  • PRECARIETA’ – Il regalo che ci ha lasciato questa faccenda del virus: la consapevolezza della fragilità, non tanto mia, quanto del genere umano.
  • QUANDO una vita normale? anzi, ci sarà più una vita normale ( intendo serena)? ·
  • RITO – E ci riduciamo ad aspettare la sera, abbiamo un appuntamento con Zaia: ci insegna, rimprovera, consola, promette, blandisce (siamo pur sempre veneti, i migliori)
  • SESSO – Piaceri primordiali: più cibo, più sesso. Per sentirsi vivi, per consolarsi un po’, perché i programmi televisivi non sono un granché e non abbiamo Netflix…
  • TAKE AWAY – Apriamo scatole e contenitori, come si scarta un gioco, un regalo…Non ce n’è alcun bisogno, ma cucinare due volte al giorno è pur sempre noioso. E poi abbiamo la scusa di far lavorare i ristoranti chiusi.
  • USCIRE – Il miraggio d’una passeggiata lungo il mare, nei boschi, anche a Monteviale…
  • VINO – Il consumo del vino in tavola registra un aumento: un bicchiere più abbondante smussa gli angoli dei problemi, dà un momentaneo, breve, benefico languore.
  • ZOOM – Nel grigiore quotidiano, ecco un appuntamento con gli amici… siamo ancora vivi…abbiamo ancora voglia di divertirci e di stare vicini. …indietro.

6. IL FORTINO

Le feste comandate sono quelle in cui, che tu creda o meno alla nascita e alla resurrezione di Gesù Cristo, devi fare i conti con la parentela. Ed ecco. croce e delizia, i pranzi natalizi e le abbuffate pasquali…
Sì, sì, si rendeva conto dell’insensatezza della cosa, ma per il ragionier Cosimo Diotallevi era più forte di lui: in casa sua non ci voleva nessuno, ogni ospite era un intruso, un attentatore alla sua intimità.

Va bene Ancilla, la moglie, appena appena la figlia, ma poi…stop, alt, la casa era un fortino assediato dal mondo, pericoloso, che si muoveva intorno. E Cosimo era equanime: valeva per i suoi parenti come per quelli di lei.

Così, a fine novembre, ad anni alterni, si entrava in fibrillazione: toccava a loro la cena di Natale di famiglia, fratelli e cognati, dodici persone.
Quando il ragioniere capiva che non si poteva sottrarre, pena malumori e forse irreparabili tragedie, iniziava una sfiancante contrattazione con Ancilla per limitare il danno: pranzo, non cena ( perché voleva andare a letto presto). Si doveva acquistare cibo già cotto per non mettere sossopra la cucina e avrebbero dovuto fare in modo di finire presto, affinché lui potesse sollecitamente riparare i danni dell’invasione.

Ancilla cedeva su tutto, pur di strappare l’agognato permesso; poi, alcuni giorni prima della festa, avrebbe iniziato a cucinare un po’ alla volta, perché Cosimo non ne avesse letali contraccolpi.Il mattino di Natale, già si alzava indispettito, quasi offeso: perché lo si faceva soffrire così, lui, che non chiedeva che di essere lasciato in pace?
Seguivano vari, inevitabili attentati all’equilibrio del suo ménage: si doveva spostare una poltrona per fare spazio, portare l’attaccapanni in camera, allungare il tavolo del soggiorno…

C’è da dire, per amor di giustizia, che ai parenti invasori il ragioniere voleva anche bene, per ricambiare i loro inviti spesso li portava nei migliori ristoranti dove era, in campo neutro, un affabile e rilassato commensale.
Ma se pensava che, il giorno di Natale, fratelli e cognati avrebbero inevitabilmente usato il SUO bagno, non poteva che inorridire!

Al suono del campanello, ecco Cosimo aprire la porta, inaugurando un sorriso, di cui i parenti conoscevano la fatica; ce l’avrebbe messa tutta, per amore di Ancilla avrebbe cercato d’essere o sembrare normale.
Ma ogni briciola sul tappeto, ogni graffio sulla poltrona, ogni goccia sul pavimento dell’esuberante moscato sarebbe stata una stilettata nel suo cuore!

Si consolava pensando che passate tre/quattro ore, diciamolo pure, d’inferno, tutto sarebbe tornato come prima, e lui, indossata la sua giacca da camera e le pantofole, avrebbe potuto godersi in pace il Natale! …indietro.

7. NON E’ COME PENSI (No, non è come pare)

Se lo trovò accanto nella coda del supermercato ; ma era proprio lui? Non lo vedeva da non so quanto tempo. Poteva scegliere di far finta di nulla o sorridergli e fargli un cenno per farsi, a sua volta, riconoscere….

“Tu…”
Sorrise sornione, mentre tornò a guardare avanti a sé, rise, e si girò verso di me.
“Ci si rivede!” disse, sorridendomi.
Era di una bellezza senza tempo. Era slanciato, con il braccio destro al fianco e lisci capelli rossi.
Stava ridendo divertito, con gli occhi quasi chiusi, a fessura.
Uff, questa fila non si muove di un millimetro. Non so più nemmeno da quanto tempo io sia qui.
“Ti prepari per un viaggio?” mi chiede. “Hai il carrello di un esploratore che si prepara ad affrontare molti ostacoli”
“Muoio dalla voglia di partire, sento che sarà un grande viaggio!” gli rispondo. “Tu che programmi hai?”
“Ancora non lo so, ci sto pensando”

Il suo carrello era ricolmo di cose, cose che non avevo notato prima e che, a pensarci bene, avrei preso volentieri anche io.
Ma la fila davanti a me era lunga, e dietro a me altrettanti si erano ordinatamente messi in fila.
Vedevo molte file, sia alla mia sinistra che alla mia destra. A perdita d’occhio.
Non avevo proprio voglia di tornare indietro. La prossima volta, pensai, me ne sarei ricordato.

“E’ da tanto che sei qui?” gli chiedo.
“E tu?” mi chiede.
Sono qui dentro da così tanto tempo che non ricordo nemmeno quando io ci sia entrato. Ho la lingua impastata, non sento più i piedi.
Davanti a me c’è un tizio con un fedora grigio e una camicia di seta nera, con disegnate foglie dorate di vite.
Gli chiedo come mai la fila non si muove, lui alza le spalle e con una faccia interrogativatorna a girarsi.
“Che strano, penso. Da qui non riesco nemmeno a vedere le casse.”
C’è una intensa illuminazione qui, ma in fondo si intravvede una striscia di penombra che lentamente degrada verso il buio.

Noto immediatamente che le foglie di vite della camicia di seta si stanno lentamente… muovendo!
Strabuzzo gli occhi.
Con implacabile lentezza le foglie si intrecciano, altre nascono, alcune cadono a terra.
Seguo con lo sguardo la caduta di una foglia.
Quando tocca il pavimento, questo morbidamente ondeggia, come se si fosse poggiata sulla superficie di un lago.
Il colore dorato di questa foglia, toccato il pavimento, si accende e permea e si mescola con le striature a terra. Queste iniziano a muoversi lentamente, come il contorcersi del dorso di un serpente che si avvinghia attorno ad un ramo.

Seguo rapito l’evoluzione che i colori compiono a terra, strisce di luce, altri colori, un movimento fluido, arcobaleni, forme che compaiono e spariscono,
Le immagini di alcuni animaliemergono tra le spire in movimento, si inerpicano sulle scarpe e sulle gambe di alcuni di coloro che vedo nelle file vicine.
“Non ne sembrano per nulla turbati”, penso, “è qualcosa che vedo solo io?”.
Una tigre bianca emerge dalle striature, a pochi passi da me, mi guarda e ringhia. Si scagliacontro il torace di un ragazzino, che barcolla impercettibilmente, e lì sparisce.
Noto alcune ombre scure che si fanno strada risalendo il fianco di una ragazza in tight, tre carrelli avanti il mio amico, e che spariscono sotto la sua giacca.

Un brivido freddo mi percorre la schiena.

Guardo le mie gambe, da una delle foglie cadute parte un tralcio che mi avvolge il polpaccio destro, e salendo lascia un solco rosso acceso, sento rullare tamburi, suoni e colori si mescolano in un crescendo.
Vedo quel ritmo, posso vedere quella melodia insistente, che pulsa in una luce rossa stridula che sale, sale, SALE!
All’improvviso la sensazione di costrizione, di stretta alle gambe, si fa intensa.
Il mio corpo sembra diventare gommoso e poi fluido, muoversi indipendentemente dalla mia volontà, sciogliersi a ritmo con quei colori che da me piovono a terra inondando il pavimento. Sento nelle orecchie il rimbombo del mio cuore, un netto e continuo fischio e una rumorosa banda di strumenti suonare slegati, ad un ritmo crescente, sempre più vicina.
Guardo le mie mani che si fanno calde e tremanti. Mi sento piano piano soffocare. Sudo freddo.

Le luci si fanno più intense, il mio respiro più frenetico, sento le mie gambe tremare. Sto per cedere.
Mi aggrappo al carrello, finché la luce si fa così intensa che non riesco a vedere più nulla, ed i suoni sono attutiti, sempre più, ad eccezione del mio cuore, che batte all’impazzata.
La sensazione è quella di affondare nel pavimento, liquido e caldo!
Signore, signore….: tocca a lei! …indietro.

8. UNA VERITÀ SCONOSCIUTA

Le feste comandate sono quelle in cui, che tu creda o meno alla nascita e alla resurrezione di Gesù Cristo, devi fare i conti con la parentela. Ed ecco, croce e delizia, i pranzi natalizi e le abbuffate pasquali.
Sono sempre stata una persona che crede nella famiglia e quei momenti li trovavo magici. La Pasqua e il Natale sono sempre state le feste passate con i parenti più stretti; eranoi momenti in cui potevo assaporare cosa significasse avere una famiglia. Tra le feste, quelle che preferivo però erano i compleanni. E quando ci sono tanti parenti ci sono anche tanti compleanni. Da piccola il motivo principale per cui adoravo quegli eventi era perché ricevevo tanti pensierini e regali ed era una cosa che mi faceva sempre felice perché mi sentivo coccolata e viziata. Un po’ come tutti i bambini quando sanno che deve arrivare Babbo Natale e il giorno di Natale sono al settimo cielo per scoprire che regali hanno ricevuto. Una gioia che solitamente non provavo mai nel quotidiano.

Ammettiamolo però, ogni famiglia numerosa è come una piccola società in cui ci sono belle persone, ma anche mele marce, piaceri e dispiaceri, gioie e dolori, amore e odio. Per anni avevo studiato i vari elementi appartenenti a questa cerchia cercando di capire in che modo vivessero la vita. Mi facevo domande a cui cercavo di dare sempre delle risposte.

Perché avevano fatto certe scelte piuttosto che altre?
Dove fossero arrivati e come?
Perché ricorrono cose o persone facendosi del male?
Perché volevano apparireperfetti?

La cosa che mi interessava di più era capire l’animo umano. Lo trovavo affascinante, misterioso e pericolo allo stesso tempo. Questo però non mi fermava dalla mia curiosità. Ogni festa era una continua scoperta, finché imparai a muovermi e a parlare entrando nell’animo di quelle persone per scoprire i loro veri sentimenti attraverso le loro storie e le loro espressioni. Sapevo che c’erano tanti segreti che non conoscevo, ma ero spinta a conoscere la verità. Si sa quando la famiglia è numerosa le notizie girano come in un piccolo paesino. Qualsiasi cosa succedeva, si sapeva tutto anche se si era all’altro capo del mondo.
Ma appena mi avvicinavo ad avere briciole di verità, scappava sempre più lontana finchémi sono arresa e ho deciso di smettere di cercare. Mi ero impegnata per anni, ma non ero mai riuscita a giungere a una conclusione. Ogni persona aveva una sua verità e se anche provavo a mettere insieme i tasselli di informazioni che ognuno mi dava non era detto che il risultato fosse la verità, spesso ne erolontana.
Capire poi chi avesse ragione e chi avesse torto era un’impresa ancora più difficile.

Il filosofo Spinoza sosteneva che la verità è criterio di sé stessa, mentre il falso può essere riconosciuto solo a partire dalla verità. Più persone sono coinvolte in una situazione o in una vicenda, più la verità viene distorta e diventa irraggiungibile. Questa è la conclusione a cui sono giunta. Ed è il motivo principale per cui ho smesso di farmi domande e di cercare una verità. Tutto è bello finché non si scava in profondità e si scopre che ogni famiglia ha i suoi scheletri nell’armadio. Le feste sono belle finché ci si ferma a godersi il momento senza pensare al perché delle cose. Sono belle finché si tralasciano incomprensioni, trascorsi negativi, parole pungenti, sorrisi falsi e altri eventi che ci possono travolgere nel corso della vita.
Ma questo è solo un aspetto, quello per lo più negativo delle feste con i parenti.

La felicità e la gioia delle feste di famiglia stanno nella condivisione, cosa che riscalda il cuore a tutti e che alla fine della giornata ci si porta casa. La condivisione di un momento insieme, la condivisione di un evento, che anche se ripetuto tante volte, rimane per sempre unico e speciale per piccoli e grandi. …indietro.